venerdì 31 maggio 2013

Lo hobbit o la riconquista... delle favole

J.R.R. Tolkien è uno di quei pochi autori geniali abbastanza per avere due schiere di lettori: quelli che una volta letto l'adoreranno per la vita e quelli che dopo poche pagine lo abbandoneranno per il resto dei loro giorni. 
Facile parlare oggi di un autore tanto celebrato? Forse, o forse no. Si è sentito un po' di tutto, ed è difficile trovare qualcosa in più da dire. Ma mi sono detta che, in fondo, non fanno male due considerazioni in più, o due considerazioni già fatte ma espresse in modo un po' diverso, immagino.

Il buon Professor Tolkien

Un pensiero affettuoso alla mia tutta particolare professoressa di italiano delle medie: contrariamente a tanti maestri, lei ci propose una lettura anticonvenzionale. Propinare Cuore, il Diario di Anna Frank, e simile letteratura estremamente depressiva, per quanto di alto livello accademico, traumatizza ogni generazione di undicenni che lasciano l'ambiente ovattato delle elementari per entrare nell'adolescenza: inizio a farmi un'idea o due sul perché certi ragazzetti oggi sono emo. La mitica professoressa di quella Prima B delle mie scuole medie ci disse che avremmo letto Lo Hobbit, e ricordo qualcosa del suo discorso iniziale sull'argomento, a proposito di quanto Tolkien fosse bistrattato nell'ambiente accademico italiano, soprattutto nell'insegnamento della letteratura nelle medie inferiori. Come tutte le cose che si fanno per forza, ammetto di aver iniziato ad odiare le parti più lente e/o prolisse del libro, ma do sicuramente il merito alla mia buona insegnante di avermi aperto effettivamente un mondo.


La mia edizione!


Ma facciamo un passo indietro, perché per parlare bene de Lo Hobbit bisogna parlare di favole. Quale bambino che abbia avuto un'infanzia felice o pressoché normale non ha sentito o letto delle favole? Io ne sono sempre stata circondata, e non erano semplicemente i libricini della Disney. Da Beatrix Potter alle fiabe orientali, dal Gigante Egoista a Gianni Torta, passando per l'Uccellin Belverde, questo genere letterario mi ha accompagnato e suppongo mi accompagnerà sempre, in un modo o nell'altro. Notoriamente, la favola si associa ai bambini... ma chi lo ha stabilito che un adulto non possa trarre lo stesso piacere o imparare anche se un po' più attempato del nipotino da una buona storia? Non è tanto il mostro da sconfiggere o la bella principessa da tenere in considerazione, ma quello che la fiaba ci trasmette in termini di morale, di conseguenze delle nostre azioni, di sentimenti degli altri, dei valori di amore e amicizia.
Come saggiamente cita Neil Gaiman all'inizio della sua Coraline, fiaba meravigliosa a cui magari riserverò un altro post, "Le fiabe sono più che vere. Non perché ci dicono che i draghi esistono, ma perchè ci dicono che i draghi possono essere sconfitti".


Smaug il drago, che si è messo comodo


Draghi! Veniamo appunto al drago della situazione, o meglio alla situazione in cui troviamo il drago.
Lo hobbit nasce, come ormai è leggenda e aneddoto d'impatto, da un'annotazione di Tolkien, fatta a margine di qualche noiosissimo mucchio di scartoffie, annotazione che diventerà l'incipit del suo romanzo. Tolkien era un linguista, ma amava non soltanto la lingua in sé, ma anche ciò per cui veniva impiegata: non solo la forma, ma anche il contenuto. 
Bilbo Baggins è il classico ometto, o meglio il classico hobbit: abbastanza ricco per vivere senza preoccupazioni, mangia cose buone, ha una bella casa, fuma la sua pipa con gran soddisfazione e non ha un pensiero grigio per la testa. Il Grigio, ovvero lo stregone, finirà però per presentarsi alla sua porta e dargli "una spintarella fuori". Un gruppetto di nani nostalgici delle vecchie loro glorie stanno partendo in missione per uccidere l'ultimo dei grandi draghi e riprendersi il loro regno. Bilbo è un Baggins e non è molto convinto, ma è anche figlio di Belladonna Tuc, proveniente da una famiglia di scapestrati scavezzacollo a cui le avventure sono sempre andate più che a genio, attirandosi le ire e i sopraccigli sollevati del resto della comunità di hobbit comodoni, magnaccioni e fumatori. Gandalf il Grigio da la definitiva bella spinta oltre l'uscio rotondo di casa Baggins, e Bilbo inizia il tortuoso viaggio non solo verso la immancabile sconfitta del drago, la liberazione degli uomini da esso oppressi, ma anche verso la scoperta di se stesso.


Bilbo che caracolla fuori di casa

Grazie a una nuova, fiammante edizione de Lo Hobbit Annotato - perché quella scolastica della prof di cui sopra non solo ha gli esercizi in fondo e una traduzione a tratti discutibile, ma casca pure a pezzi - ho colto molto più di quello che avevo fatto ad una rilettura precedente, risalente più o meno a quando uscì la trilogia del Signore degli Anelli al cinema. Il filo conduttore è sempre la fiaba: l'eroe che non sa di esserlo, e in questo caso proprio non lo è, che parte per un lungo viaggio con dei compagni di avventura, per sconfiggere il male e tornare a casa ricco. Uno schema basilare e piuttosto abusato, ma dobbiamo anche ricordare che Lo Hobbit esce negli anni '30, prima che tanti fenomeni di letteratura ci dimostrassero quanto "tiri" il fantasy.


Fantasy da manuale

Questo libro è una favola: prende spunto dalla passata letteratura del genere, traendo nomi, situazioni ed escamotage narrativi, ma allo stesso modo sovverte alcune regole del gioco. Nelle grandi saghe nordiche, il protagonista è un grande eroe, che deve raggiungere gli dei, e se non lo fa è solo una grande delusione e sconfitta. Il lettore però, in questo caso, si trova di fronte non a un grande condottiero armato fino ai denti, agile e scattante, forzuto e pieno di fiducia in se stesso: Bilbo è grassoccio, un po' lamentoso, pieno di dubbi e di voglia di tornare a casa. E neppure i suoi compagni d'avventura sono tutto questo esempio di cavalleresco valore: il loro capo è burbero e orgoglioso, e sono in fondo una banda di sconclusionati raminghi, senza quella casa che vogliono andare a riconquistare. 


Nani "seri"

Per quanto queste creature della Terra di Mezzo - allora in fase di germinazione nella mente di Tolkien, tanto che il romanzo è spesso incoerente con il resto dei lavori dell'autore - siano effettivamente "fantastiche" per le loro caratteristiche fisiche e personali, sono personaggi definitivamente umani: hanno nostalgia di casa, hanno paure e dubbi, si ritrovano a condividere incomprensioni nonostante l'affetto e il cameratismo, devono tirarsi fuori dalle situazioni spesso in maniera scomoda, e non possono non lamentarsene, come faremmo tutti. Il drago, bramoso di oro, di fasti e decadente come solo il personaggio di un grande romanzo o l'esponente di una civiltà in declino può essere, è sì malvagio e contro i protagonisti, ma affascina per la sua astuzia, così come si biasima per la stupidità a cui lo porta l'ingordigia e l'egoismo.

Smaug è contrariato...

Gli elementi della fiaba sono sparsi in ogni capitolo. C'è uno stregone misterioso, che parla per enigmi, che fa loro da guida ma si dilegua "per suoi affari" ogni volta che può e soprattutto ogni volta che i personaggi devono affrontare da soli le cose per crescere. Ovviamente, il mago ricompare solo quando è necessario. Ci sono tre troll, stupidi e affamati che vengono gabbati dal gruppetto, che li tiene occupati finché non spunta il sole e loro diventano pietra. C'è la foresta oscura e densa di pericoli. Ci sono gli elfi! Ma Tolkien non fa l'errore di creare semplicemente - almeno per questo libro - una razza superiore. Non lasciamoci ingannare dai giochi di ruolo e le illustrazioni patinate: elfi, fate e folletti nel folklore anglosassone sono notoriamente spiritelli birbanti, pronti a fare scherzi di ogni genere, e anche crudeli, che traggono forza dal sangue dei bambini umani, che scambiano con i propri o tormentano. Il Re degli Elfi è forte e potente, ma è anche orgoglioso quasi quanto il Re dei nani, capo della compagnia, anche se non lo ammetterebbe mai. Il suo sentirsi superiore non lo rende magnanimo come dovrebbe essere, e invece di mettersi a trovare un accordo, preferisce imprigionare la piccola compagnia; questa cosa non sarà dimenticata da Thorin Scudodiquercia, il capo, che si dimostrerà ugualmente cocciuto e spocchioso. Il drago, a sua volta, è un elemento cardine delle fiabe, e sappiamo che ogni drago ha un suo punto debole. Tutti questi elementi, per quanto riconducibili a letteratura per ragazzi, fantasiosa e apparentemente lontana dalla realtà, ci ricordano tanti dei nostri difetti e ci suggeriscono i modi per migliorare noi e gli altri.
Celeberrima illustrazione di Alan Lee
E gli uomini? Gli uomini della situazione sono a loro volta l'emblema di una società vera. La politica corrotta la si vede nel governatore della città, pronto a godersi i privilegi della sua carica, ma non disposto a combattere per ciò che potrebbe davvero essere il riscatto della città. Preferisce anche lui, come il drago, crogiolarsi in quello che ha, e cercare solo il guadagno facile ed egoistico. L'eroe però emerge, anche se prima è bistrattato e malconsiderato: non è popolare, non è famoso, è soltanto il pazzo del villaggio, quello che millanta grandi cose per cui nessun altro è disposto a sforzarsi abbastanza.


Uomini della città di Dale


Il riscatto del piccolo e del maltrattato è il tema del romanzo, è la favola che sboccia: Bilbo tornerà a casa ricco sia in sostanze che in spirito, i suoi compagni riavranno la loro casa e impareranno che l'orgoglio è una virtù se si accosta alla generosità, gli uomini costruiranno finalmente la propria dimora e potranno tornare a crescere. Nonostante però la fiaba, ciò che traspare è la verità e la sostanza. I drammi dell'animo e le gioie delle cose che diamo per scontate, il valore dell'amicizia e della pietà.


Bilbo con lo sguardo furbetto
Ehi, aspettate... Gollum, dite? 
La creatura Gollum è diventata uno dei personaggi della letteratura più complessi e profondi: vittima del male, da compatire e da riscattare, eppure troppo corrotto per essere salvato, e allo stesso modo impossibile da abbandonare. Gollum nasce all'interno di questa avventura, senza la minima idea, da parte dell'autore stesso, di cosa sarebbe scaturito da esso. Il capitolo "Indovinelli nell'Oscurità", in cui Bilbo e Gollum si sfidano a colpi di enigmi per decidere se lo hobbit sopravviverà oppure no, è un piccolo capolavoro di narrativa fiabesca, dove il pericolo è concreto e spaventoso, ma dove l'arguzia è la vera arma, bianca e potentissima.
Tesssoro, che dici, ce lo mangiamo comunque?
Se amate le favole, dunque, o siete convinti che queste possano veramente insegnarvi ancora qualcosa, Lo Hobbit è una lettura che non vi potete perdere. Concludo questo excursus con una citazione dall'introduzione dal saggio sulle fiabe che scrisse proprio Tolkien, e che vi invito sicuramente a leggere, se ne avrete voglia:


"Il reame della fiaba è ampio, profondo ed eminente, pieno di molte cose: vi si possono reperire animali terrestri e alati d'ogni specie; vi sono mari sconfinati e miriadi di stelle, una bellezza che incanta e pericoli sempre in agguato; e la gioia e il dolore vi sono affilati come spade. È un reame in cui un uomo può forse considerarsi fortunato per avervi vagato, ma la sua stessa ricchezza e singolarità inceppano la lingua del viaggiatore che volesse riferirne. E, mentre vi si trova, è rischioso per lui porre troppe domande, per tema che i cancelli si serrino e le chiavi vadano perdute" 
Illustrazione dal libro "Instructions" di Neil Gaiman e Charles Vess

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