domenica 27 ottobre 2013

Il quinto potere: recensione/riflessione


Dalla prima foto di Benedict Cumberbatch conciato da Assange attendevo di vedere questo film, e finalmente ieri sera, ce l'ho fatta! Premesso tutto che non conoscevo e non conosco tuttora direi la vicenda esatta di Wikileaks, avevo appreso sommariamente che era un sito internet su cui venivano (vengono ancora?) pubblicati documenti riservati, con il malcontento dei governi, il trionfo dei giornalisti e possibili ripercussioni sulla gente coinvolta e comune, e che Assange è ora ospite di un'ambasciata a Londra per evitare la deportazione e il processo, che io credevo legato a questa fuga di notizie ma effettivamente non è così.

La foto era questa:

"Come t'hanno conciato, Benedettino di Micheluzza tua?" Mi chiesi.


The Fifth Estate è stato intitolato in Italia Wikileaks: Il Quinto Potere. Non mi permetto di questionare sulla scelta di inserire anche il nome dell'organizzazione nel titolo, che attira le masse e definisce meglio di che cosa si stia parlando. C'è da dire che a mio parere nel film non si parla tanto di Wikileaks, dato che non è un documentario, quanto del potere dell'informazione. Il tema fondamentale del film tratta di come le informazioni vengono incanalate, presentate, diffuse all'alba di questo 21esimo secolo. Il Quinto Potere siamo noi: è questo il messaggio, o uno dei messaggi, della pellicola.



Locandina originale in cui la parola "Wikileaks" non appare (se non nei credits)

Spenderò qualche parola buona su Benedict Cumberbatch, concedetemelo. Per il lavoro di trucco-parrucco tanto di cappello agli appositi reparti della produzione: superbo, contando quanto il viso di Cumberbatch poco si presti a venir cammuffato, tanto è particolare. Ma fatemi dire che come sempre questo ragazzo è un piccolo Dio della recitazione. Imitare semplicemente qualcuno è una cosa che facciamo tutti, cogliendo un tic, una parola particolare, un tono di voce. Cumberbatch fa qualcosa di molto più sottile (e non l'ho neanche visto in lingua, non oso pensare a cosa sia in lingua!), restituendoci non una caricatura o una fotocopia di Assange, ma riprendendo determinati movimenti  della persona che sta interpretando, riconoscibili ma non esasperati, sforzandosi di non tanto fare il verso quanto darci un'idea di chi è colui di cui sta recitando la parte. Julian Assange non è così, impossibile dirlo e impossibile interpretarlo alla lettera, come ogni vero essere umano. Cumberbatch è un professionista, e lo sa. 

L'Assange di questo film è un personaggio, in una storia. È un essere umano ferito, calpestato, che ha cercato di dimostrare al mondo che niente e nessuno potrà fermarlo, dovesse ferire e calpestare lui stesso gli altri, ed in questo aspetto si dimostra non solo la debolezza di Julian quanto la debolezza di ognuno di noi, dove il nostro ego sorpassa ciò che di buono vogliamo fare attraverso esso. È un essere umano e quindi egoista, primadonna, vulnerabile e insieme una macchina.


Benedict e quello che visto così pareva lo screensaver di Matrix.


Altre buone parole le spendiamo anche per Daniel Brühl, interprete di Daniel "Schmitt", il primo e per molto tempo unico collaboratore di Assange, di cui non avevo visto niente finora. Regge la narrazione con una padronanza e una disinvoltura che ti permettono di seguire il film senza dover troppo impazzire a cercare di capire il suo punto di vista. È un ragazzo che vuole fare qualcosa di buono, per il mondo, e trova la possibilità di inseguire questa sua speranza attraverso uno strano ometto australiano che salta da aeroporto ad aeroporto. Non è il più intelligente dei due, non è il più bravo dei due con i computer, ma mette tutto se stesso in quello che fa, è generoso, è attento, vuole fare le cose per bene e non deludere nessuno. È l'emblema di ciò che ogni persona normale, ogni persona per bene che vuole cambiare il mondo probabilmente farebbe. È giustamente il personaggio che nell'economia della narrazione ci accompagna. Viene intossicato dall'enorme potenzialità che Julian gli conferisce, rendendolo partecipe, ma non ne viene avvelenato, tanto che quando cerca di fare la cosa giusta, coinvolgendo altre persone come lui, è quello dei due che mantiene i piedi per terra, il cui panico è palese sulla pellicola quando si rende conto che Julian è mosso da se stesso più che dalla notizia.

Daniel e gli sticker nerd sul suo portatile.
Ho pensato al personaggio di Alicia Vikander, chiedendomi quale è stata la sua funzione nei pochi minuti della sua interpretazione, così come mi sono chiesta cosa ci hanno messo a fare Dan Stevens e Peter Capaldi, tre piccoli grandi talenti che in tutto, e intendo tutti e tre insieme, se hanno mezz'ora di scene è già tanto. Riflettendo un po' mi rendo conto che non sono stati sprecati.


La Vikander interpreta la fidanzata di Daniel, che all'inizio sembra solo un elemento di contorno, la figura femminile da inserire per evitare che il film venga definito maschilista. Trovo però che, a conti fatti, sia stato molto importante inserirla, per far vedere ancora di più quanto effettivamente Daniel, tra i due, è quello che è ancora attaccato alla realtà, che ha qualcuno da cui tornare - pur con i reali alti e bassi - qualcuno che crede in lui e che lo aiuta, che mette da parte il proprio egoismo, quando è necessario. 

E ci credo che sorridi, Alicia, mannaggia a te.
Su Peter Capaldi sono ormai di parte, perciò cercherò di essere breve. Capaldi è Alan Rusbridger, editore del Guardian. Impossibile non pensare per un attimo a Malcolm Tucker nei suoi gesti e parole da leader, ma naturalmente per quanto ormai typecast (stereotipato a livello attoriale, traducendo), ad un occhio attento è evidente che è stato scelto per l'autoritatività, se mi passate il termine, che sa dare, anche semplicemente nominato al telefono dal suo reporter, o nelle fugaci scene in redazione. Ma procediamo o la fangirl che è in me non la schiodiamo più. 
Dan Stevens è il belloccio inserito nel mezzo, ma non inutile, tuttaltro. È infatti la figura speculare a quella dei giovani di cui Julian, grazie a Daniel, inizia a circondarsi. Dove infatti i volontari di Wikileaks sono la nuova frontiera non professionale del giornalismo d'assalto, il personaggio di Stevens è il giovane giornalista che ha scelto la via ortodossa per raggiungere il suo obiettivo - lavora infatti al Guardian - ma non è meno appassionato degli altri: lo vediamo nell'unica scena in cui si esprime direttamente, dimostrando l'entusiasmo per il suo lavoro e la paura che questo venga denaturato e svilito da chi lui pensa non abbia a cuore ciò che lui stesso ha a cuore.

Belli de Micheluzza vostra, tutti e due. Però Dan, Peter, mangiate, che siete troppo magrolini.

Laura Linney e Stanley Tucci sono altri due attori superbi, che recitano i ruoli di personaggi molto importanti che si prendono il giusto tempo, anche se un po' poco, sullo schermo, senza i quali l'altro lato dell'Oceano non avrebbe avuto autorità o umanità, ma soltanto una maschera di falsità e crimine. Splendida Laura, un quasi sprecato Stanley, ma dovrei affiancarlo a un quasi sprecato Capaldi, a sto punto.

In sostanza, anche il cast di "contorno" non fa affatto soltanto da contorno, e includo anche tutti coloro che non ho nominato.


Laura e Stanley, in un momento di gossip.



Perfetta la scelta di David Thewlis per Nick Davies, il reporter del Guardian che tiene le trattative per l'esclusiva o meglio per la condivisione del materiale. Attore di grande talento, come sempre, ci regala un'interpretazione autentica e per nulla melodrammatica, e allo stesso tempo non fredda o artificiosa. Sempre parlando a livello narrativo, il suo personaggio è la controparte "buona" di Daniel, il giornalista di vecchia data che non ha perso il contatto con ciò che sarebbe giusto pubblicare ma allo stesso tempo cerca di fare in tutto e per tutto gli interessi dei suoi capi. Emblematico è infatti il discorso che fa con Daniel quando il film si avvia alla conclusione, parlando del sacrificio di una generazione per permettere a quella successiva di avere più libertà, che manca di disincanto ma non di speranza.

Perché sprecare un'occasione per mettere un'altra foto di Peter, quando non trovo foto di David che mi aggradino più di questa?

L'espediente di mostrare un grande numero di scrivanie "a cielo aperto" mi sembra molto interessante, se non azzeccata: laddove infatti sono migliaia le postazioni, gli esseri umani sono due, non hanno un ufficio vero (da qui il cielo sopra le loro teste), ma (spoiler!) questo permette di creare la bellissima scena della distruzione di tutto con una forza visiva che non ci sarebbe stata se semplicemente avessero preso a mazzate i veri server.

Parlare faccia a faccia è per i perdenti!
La manipolazione delle informazioni è quindi uno dei temi fondamentali, o forse lo sono le informazioni in generale, e in che modo il rapporto con la notizia plasma e mette in luce la natura umana. Se da una parte Daniel vuole mostrare la verità, per la giustizia e per tutto ciò che è necessario per averla, nel mondo, allo stesso tempo si rende conto che non è un professionista, ma che ha fatto la sua parte, ed è pronto a mettersi da parte o a collaborare per arrivare al fine più alto. Julian, invece, è troppo preso da se stesso, da ciò che è riuscito a fare, ripete sempre, da solo, anche se non è sempre stato solo: lui non si fa da parte, ma mette all'angolo gli altri, inganna, e comunque non è possibile condannarlo del tutto, per via del suo passato, ma anche perché è capace di manipolare anche te, pur di non manipolare il materiale. In fondo, lui vuole solo sbattere in faccia al mondo la verità, e venire lodato per questo, e forse la giustizia non c'entra molto.
I giornali? Sanno fare il loro lavoro, vogliono lo scoop, ma hanno una politica da seguire, hanno dei paletti che laddove possono rappresentare degli ostacoli, in alcuni casi rappresentano la capacità di proteggere soggetti sensibili, non di censurarli. La politica americana deve conservare il proprio decoro di fronte agli elettori, e proteggere i cittadini, e a suo modo si confronta con tutto questo.
La fuga (leak) di notizie avviene tramite un giovane soldato: ingenuo? Forse. Ma anche lui rappresenta quella generazione frustrata dallo schifo che si vede intorno, e scatena gli eventi. È grazie al suo gesto che possiamo renderci conto di come reagiscono i personaggi e interrogarci su come reagiremmo noi.

Bill Condon, regista che mi figuravo più alto, e Benedict Cumberbatch.
L'opinione che ci si può formare sulla vicenda di Wikileaks non è il punto, trovo non sia ciò per cui il film è stato prodotto, da spettatrice. 
Assange ha dichiarato che questa pellicola si è basata sui resoconti meno attendibili della vicenda, e probabilmente produrrà un film tutto suo. Comprensibile che questa sia la sua posizione, perché parla dal suo punto di vista, che non è artistico, e non gliene faccio affatto una colpa, anzi. 
Ciò che io ho tratto da questo film è che forse davvero il coraggio è contagioso, o meglio, che con la forza di volontà, la tenacia, la passione ma soprattutto il contatto con la realtà, il lavoro di squadra, la considerazione degli altri, si può cambiare il mondo, o iniziare a cambiarlo. Ed è importante fare il primo passo.

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