domenica 19 luglio 2015

Florence, di Stefania Auci: recensione

FlorenceFlorence by Stefania Auci
My rating: 4 of 5 stars

Quando si finisce un libro come Florence ci si sente un po' orfani. Che fine faranno tutti i personaggi che ho tanto amato, di cui ho seguito le vicende, che ho odiato e che hanno avuto o no quel che si meritano? Mi mancheranno tutti: Ludovico, Irene, Dante, Luciana, persino Claudia, Ghelli o Nerino, il capitano Freeman, Latimer... l'elenco è quasi infinito.
Florence (letto rigorosamente alla francese) è un romanzo bellissimo. Non lo dico perché ho avuto il piacere di scambiare qualche messaggio con Stefania e la considero una donna degna della massima stima (pensa se la conoscessi davvero e più a fondo!), ma perché quando un libro ti da la sensazione di dimenticare tutto il resto, di averti raccontato una storia intensa e splendida come questa non può che essere un bel romanzo.
Ludovico è un giornalista che vuole dimostrare al mondo e a se stesso che può essere qualcuno: si fa affidare un incarico come cronista di guerra ed è in quell'incarico che scopre se stesso, la guerra, i propri limiti e si costruisce una nuova vita, finché quella vecchia non si mette in mezzo... niente spoiler, sul resto.
Ludovico è un eroe e un antieroe, è umano, è pieno di pregi e di difetti, di passione e di arroganza, di intelligenza e di caparbietà. Si scontra con la guerra nella maniera più brutale, con spacconeria e la convinzione di sapere tutto e di poter spaccare tutto: gli esseri umani sono fragili, vanno anche in pezzi, ma è anche possibile rimetterli insieme. Non saranno gli stessi di prima, ma saranno qualcosa di nuovo. Ludovico cresce e matura e cambia, come un vero uomo, ed è qui che si vede la differenza tra un romanzo qualsiasi e un bel romanzo. Irene, allo stesso modo, è un'adolescente piena di passione, che conosce se stessa, ma è irruente e andrebbe a sbattere contro i muri più duri può di attraversarli. In questo senso Ludovico ed Irene si somigliano e insieme sono diversi.
Non solo i due protagonisti sono tratteggiati in maniera splendida: Dante e Luciana, i due fratelli amici di entrambi sono due creature che ho amato molto, l'uno sensibile e buono e generoso e l'altra forte e senza grilli per la testa. Persino Mario e Claudia Anselmi, il primo odiato profondamente e la seconda per cui ho provato molta pena e confesso antipatia, erano, sarò ripetitiva, splendidi.
Il racconto si snoda con uno stile scorrevole ma non per questo meno sofisticato. Le scene di guerra sono vivide e fatico a pensare che sono dovute a lunghe ricerche e non ad un racconto di prima mano, vecchio di cento anni. Un romanzo storico è riuscito non sempre per la precisione delle notizie usate, ma dalla ricostruzione e la forza della sensazione di essere in quel periodo mentre leggi, o almeno così la penso io.
L'ultima cosa che mi resta da dire è: grazie, Stefania, per questa splendida, splendida, splendida storia.

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sabato 6 giugno 2015

Jane Eyre: recensione

Jane EyreJane Eyre by Charlotte Brontë
My rating: 4 of 5 stars

Una cara amica mi disse, quando le rivelai che non avevo (ancora) letto Jane Eyre, che "non si diventa donne finché non si è letto quel libro".
Credo ci sia molto di vero in quest'affermazione, detta con ironia ma con profonda sincerità. Jane Eyre è un grande classico, e come tutti i classici non smette mai di dirci qualcosa di nuovo. Finendo di usare citazioni, questo è un libro viscerale, passionale, romantico nel vero senso ottocentesco della parola, senza eccessi parodistici o scellerati, anzi, ci ricordano quanto anche noi poveri mortali siamo complessi, quanto sappiamo amare e quanto siamo in grado di soffrire - oltre a quanto siamo in grado di lottare.
La giovane e ingenua Jane si fa strada nel mondo con le sue capacità, con le unghie e con i denti, ma senza ferire e senza recare alcun male. È bruttina, piccola e oscura, e questo viene ripetuto spesso, come a sottolineare che la bellezza effimera ed esteriore non è indice di nulla di ciò che davvero è una persona, nella sua anima.
La narrazione in prima persona non mi piace granché, e spesso mi è parso che alcuni passi del libro siano troppo esterni alla sua mente, mentre altri ci danno uno scorcio della sua anima fin troppo intimo, ma questi non sono difetti, semmai il difetto è nel mio approccio alla lettura.
I personaggi di contorno sono pochi, a volte abbozzati tanto quanto la loro educazione o semplici quanto la loro posizione sociale, e quindi ci si concentra su Jane e sul signor Rochester.
Edward Fairfax Rochester viene spesso descritto come il sogno di ogni donna, anche se fatico a credere che ci siano così tante donne coscienziose, intelligenti e di buon cuore da "innamorarsi" di una persona così: spiritosa, cafona, incline agli sbagli non per natura cattiva ma per mancanza di giudizio, guidato dalla sua anima genuina e ingenua più della donna di cui si innamora, ma che seppur con vent'anni di più ha bisogno di una guida. Non è bello neppure lui, e la cosa che mi ha colpita e deliziata è il fatto che Jane inizi a vederlo bello, a suo modo, perché va oltre l'aspetto fisico in sé e riesce a vedere, nei suoi tratti, la bellezza di ciò che c'è oltre, "dietro gli occhi" (come dicono i Pearl Jam - certe citazioni bisogna farle lo stesso). La differenza puramente aritmentica tra numero dei suoi difetti e dei suoi pregi non ne determinano la natura, il carattere, la bontà e l'anima, e in questo la Bronte ci insegna e ci mostra molto della scrittura e del talento che serve per renderla viva.
Mi mancheranno molto questi personaggi, per quanto umili e "difettosi", mi mancheranno le uscite stupide di Rochester e la tenacia e risoluzione di Jane, che spero un giorno di avere anche io.

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domenica 24 agosto 2014

Deep Breath: prendete un bel respiro, il Dottore è tornato...

Come forse ricordate da questo post di un anno fa il Dottore, protagonista di quella serie di fantascienza più longeva della storia (mica pizza e fichi), è cambiato. Abbiamo atteso ben più dei 365 giorni che compongono un anno per vederlo in azione e finalmente ieri abbiamo "trattenuto il fiato" guardando il suo primo episodio, "Deep breath".
Dato che ho avuto la fortuna di vederlo al cinema non posso esimermi da scrivere questo blogghino sulla puntata! Here we go again, come dice saggiamente Madame Vastra.
Spoilers, aggiungerei, come diceva River Song, potrebbero essere sparsi ovunque, quindi andatevi a vedere la puntata prima di leggere ancora.

Scambio di Jelly Babies tra me e il Dottore.
Ora iniziamo con un po' di trivialità: ho visto la puntata al Cineworld di Parnell Centre a Parnell Street, Dublino, Irlanda. Come ho accennato nell'ultimo post, sono qui per lavorare qualche mese in un tour operator grazie al progetto Leonardo Da Vinci. Non divaghiamo.
Il Dottore che vedete in questa foto è un simpatico Irishman che insieme ad alcuni amici fa dei podcast sul Dottore. Mentre eravamo in attesa della messa in onda, si sono giustamente e abusivamente fatti pubblicità. Se siete curiosi, il sito è questo (http://thechroniclesoftimepodcast.tumblr.com/), hanno anche una pagina facebook "The Chronicles of Time".
Una volta entrati nella sala 9 del multisala, su cui ci sono i dovuti stickers delle porte della TARDIS (Police Phone Free for Public Use... e quello della St. John Ambulance), sullo schermo apare la scaletta che potete vedere vagamente dietro al cappello gigante del Dottore: uno speciale video introduttivo, la puntata, un dietro le quinte e il Q&A in diretta da Londra. Mentre aspettiamo che inizi il video, lo staff del cinema ricorda che ci sono i "refreshments" alla sala completamente piena e premia con del merchandising del Forbidden Planet (negozio meraviglioso che si trova in varie città nel mondo) i migliori costumi, tra cui un bimbo in giacca di tweed e farfallino e una bimba con un adorabile cacciavite sonico.

Non so di chi sia sta foto... meh, tanto era uguale.

Il video introduttivo ed esclusivo è uno dei "fields report" con cui Strax ogni tanto ci delizia, a puro beneficio a livello informativo per tutti i fidanzati, amici, parenti vari che non hanno mai visto Doctor Who che sono stati trascinati al cinema (compresa la mia collega, che però ha apprezzato il tutto e si vedrà qualche puntata, dice), ma anche a puro beneficio del pubblico intero, dato che è esilarante come solo il nostro Strax può esserlo. Come non amarlo?
Non appena Strax viene però richiamato all'attenzione da Madame Vastra e da Jenny, inizia la puntata.

Lo so, lo so, la foto è vecchia, ma loro sono fighi uguale.

Un dinosauro: la mia mente di bambina si esalta già, dato che avevo un debole per quei lucertoloni. Il testone di questo T rex, o forse allosauro, è magnifico vicino al Big Ben, ed in poco tempo vediamo che ovviamente solo una persona poteva risolvere la faccenda, essendo la scena nella Londra vittoriana: Madame Vastra, la nostra lucertola semiumana preferita, sua moglie Jenny e il fido Strax sono stati messi in allerta da Scotland Yard che, lo sappiamo, non ne imbrocca una. Come è arrivato il dinosauro sul Tamigi dell'Ottocento? Viaggi nel tempo, che domande. Il bestione sputa una piccola cabina, e l'emozione corre subito veloce. Il Dottore è arrivato. Un espediente spettacolare quanto interessante per iniziare, a mio parere.

Ehy, sexy lady!

Il nuovo Dottore si presenta al pubblico in maniera esilarante, sarcastica, folle, persa e meravigliosa. Sì, probabilmente essendo già una fan di Capaldi da un anno, è impossibile per me pensarla diversamente, ma che la sua prima battuta sia un "Shush!" per zittire Strax mi ha fatto impazzire. Parla al dinosauro come fosse una signora, insistendo sul fatto che non sta flirtando con lei. Non si ricorda chi è chi, non ricorda i nomi, scambia Clara prima sia per Strax che per Handles, la povera testa di Cyberman della puntata precedente, il tutto muovendosi in preda a una sorta di isteria post rigenerazione. Clara è evidentemente spaventata a morte, frustrata, arrabbiata, e stanca. Inutile dire che già in questi primi minuti sia Jenna Coleman che Peter Capaldi sembrano dare il meglio di sé... ma è ancora tutto da vedere.
Il Dottore, però, sviene di colpo, quando messo di fronte ai suoi errori e al suo momento di follia, e ci ricordiamo tutti della piccola Rose e del suo Dottore appena cambiato, che è evidente che lei non riesce a riconoscere: sono contenta del parallelismo, anche perché si risolve in maniera diversa.



Il cambiamento di un Dottore è sempre traumatico per i fan quanto per le companion, e Moffat gioca molto su questo tema. Non fa mistero con il pubblico che la dinamica che si era creata tra l'Undicesimo e Clara era quella di una coppia sul punto di dichiararsi, o quasi, e sembra che Clara sia delusa dal fatto che questo nuovo Dottore sia "vecchio". Vastra, però, come noi sul momento, crede che questo dipenda dal fatto, appunto, che a Clara "piaceva" il Dottore in maniera romantica - come a una certa fascia di pubblico, che amava il Dottore perchè era giovane e flirtava bene con le donne. 
Quello che però io credo che Clara intenda è che quest'uomo non è più lo stesso che qualcosa l'ha invecchiato, qualcosa ha creato solchi in una faccia nuova, e lei sia dispiaciuta e soffra per questo dolore che ha già segnato un viso nuovo di zecca. Ovviamente, a Clara piaceva davvero il Dottore di prima, ed è difficile per lei accettare il nuovo Dottore, anche se messa a confronto con il capo della Paternoster Gang si rende conto che non è arrabbiata con il Dottore perché è "vecchio", è arrabbiata con un indefinito qualcosa che l'ha invecchiato e quindi gli ha arrecato sofferenza.
Trovo che Moffat, insomma, abbia giocato in maniera perfetta con la percezione che gli spettatori hanno del Dottore e grazie alla companion ci abbia aiuto ad entrare in contatto diretto con il nostro stesso lutto per l'Undicesimo.


Ma le cose succedono in fretta, in Doctor Who, e il nuovo Dottore non è solo isterico, ma è pieno di energia rinnovatrice e rigeneratrice. Adoro il modo in cui è perso nel suo stesso corpo, il fatto che gli altri suonino strani perché ora lui è scozzese, che si concentri sulla funzione della stanza da letto, che non si riconosca allo specchio. è sempre lui, ma è completamente perso e, lasciatemelo dire, profondamente adorabile.
Ho trovato visivamente molto bello vedere come scarica questa sua energia nel calcolo e nel disegno di grafici per tutta la stanza con il gesso.


Il Dottore sfugge al suo stesso controllo e ben presto lo vediamo sparire, mentre Clara cerca di venire a patti con i propri sentimenti in proposito, e non parlo solo di quelli romantici. I siparietti con Strax sono comunque superbi, così come il suo costume. Jenna ha la grande capacità di risultare stupenda in qualsiasi cosa indossi, si sa, ma il costume vittoriano le sta decisamente d'incanto.



Ci sono tre scene che ho adorato davvero in questo episodio, e la prima è quella in cui il Dottore discute con un barbone in una strada secondaria di Londra. Il barbone in questione è interpretato dal marito della compianta Elizabeth Sladen, la mai dimenticata Sarah Jane Smith delle vecchie serie. Trovo che oltre ad esserci molto mistero e anticipazione e intrigo nei discorsi che fanno, ci sia indubbiamente una scrittura meravigliosa, divertente a tratti, e una recitazione sublime, piena del vero e proprio "drama". Peter ci mostra un Dottore vulnerabile, spaventato e infreddolito, ma allo stesso tempo pieno della fierezza, della follia, dell'intelligenza, della vera e propria "furia" dei Signori del Tempo. 
Adorabile peraltro la citazione delle sopracciglia "che vanno per conto loro", magari una strizzata d'occhio alla RADA che aveva scartato il giovanissimo Peter, ad inizio anni 80, per quelle sopracciglia troppo attive, dicendogli che l'attore non era il mestiere per lui. Poveri stolti...
Qualcuno potrà arguire che la sua recitazione è un po' "over the top", esagerata, ma anche se in larga parte potrebbe sembrarlo, credo che abbia a che fare con ciò che lo show è sempre stato e come Peter l'ha sempre visto, in fondo. Nonostante l'esagerazione di alcuni gesti e toni di voce, non è affatto pacchiano o esagerato.



La seconda scena, cosa me lo chiedete a fare, è stata quella del ristorante. Un altro esempio di eccellente scrittura, di timing comico dei due attori, del modo in cui si può parlare di una relazione tra due personaggi cambiata radicalmente eppure rimasta sempre la stessa, del modo in cui un misunderstanding diventa divertente e insieme perfetto... potrei andare avanti per ore, e la scena dura solo pochi minuti. Chiunque dichiari che sullo schermo tra Peter e Jenna non c'è chimica, dice una immensa e devastante baggianata.


Altra scena che mi ha colpito e mi ha veramente tolto il fiato è stata quella di Clara intrappolata sola in mezzo ai droidi. Mi ha spaventato a morte l'idea che il Dottore potesse averla lasciata sola, ho adorato come ha reagito e ha negoziato, perché è evidente che è terrorizzata, ma che non vuole arrendersi. E quando ha allungato la mano ho sperato con tutta me stessa che il Dottore fosse lì... e così è stato. Forse l'ha usata un po' crudelmente, è vero, gli altri Dottori non l'avrebbero mai fatto, ma qui sta il bello di avere di nuovo - finalmente - un Dottore alieno, che ti porta al tuo limite per dimostrare quanto sei forte, quanto puoi fare, quanto sai fare. 
In una nota più meramente terrena e scandalosamente frivola, Peter Capaldi in costume vittoriano è un gran bel vedere.





Un plauso e un apprezzamento particolare va all'attore che interpreta l'uomo con la faccia a metà, se così vogliamo chiamarlo, il droide in cerca della terra promessa, ovvero Peter Ferdinando. Scopro grazie a imdb che aveva una particina in Soft Top Hard Shoulder, il film dei primi anni Novanta scritto e interpretato da Peter Capaldi e dalla sua dolce meravigliosa mogliettina. Il mio cuore straripa di dolcezza. Questo attore, in ogni caso, ha una fisicità straordinaria, e ti fa credere davvero di essere un droide: ricordiamoci che sul set i rumori e i suoi non ci sono, e lui fa comunque un lavoro incredibile di movimento del proprio corpo, tanto che quasi dimentichi che è un attore in carne ed ossa, invece che fatto di circuiti.


La scena tra lui e il Dottore, la loro ultima scena, inizia con un breve dialogo sulla veduta di Londra dall'alto, dato che stanno volando. Adoro che il Dottore dica che da lassù gli uomini sembrano così piccoli, quando in realtà sono immensi. è uno dei temi che preferisco in Doctor Who, ricordare sempre che chiunque è grande e importante.


La terza scena che adoro è naturalmente quella finale. Sapevo del cameo di Matt Smith, perché qualcosa era stato dichiarato, ma non è stato comunque indifferente per il mio piccolo cuore, che si è spezzato un po'. Anche se solo al telefono, è evidente che Clara si comportava in maniera molto diversa con il Dottore di prima, ma è proprio lui, il suo "fidanzato" che le chiede di essere buona con il suo nuovo se stesso, di aiutarlo, perché è più spaventato di lei, ed è vero. Dietro quel cappotto nero, è ancora spaventato da se stesso, da quel viso già segnato, che lui ricorda, ma di cui non riesce ad afferrare l'importanza (perchè questo viso? perchè hanno scelto questo viso?). E soprattutto il modo in cui il Dottore dice a Clara che lei lo guarda ma non lo vede davvero è lo specchio dell'inizio della puntata, quando lui la vede, ma non la riconosce. "Hai una vaga idea di come ci si sente?" le chiede. Certo che lo sa. Ed è per questo che quando finalmente guarda in fondo agli occhi di quell'uomo, riconosce il Dottore. Perché lui lo è.

Awwwwww <3

Il modo in cui Peter dice la battuta del "Non sono il tuo fidanzato / non ho mai detto che lo sbaglio su questo fosse il tuo" mi ha un po' spezzato il cuore, di nuovo, perché è evidente che il Dottore è sempre il Dottore, anche se ha cambiato faccia, personalità, corpo. Una parte di lui è ancora innamorata di Rose, una parte di lui piange ancora Donna, un'altra è ancora invaghita di Clara. Tutte queste parti, e quelle che avevano una nipote, una Sarah Jane, tutte sono parte di lui. è una cosa che Peter credo ha reso in maniera sublime, per la prima volta sono riuscita a vedere tutti i suoi predecessori in questo nuovo Dottore, in un modo o nell'altro, eppure ho visto un personaggio nuovo. Suppongo che trent'anni passati ad imparare a recitare senza dramaschool, e 50 anni di ammirazione per lo show, l'abbiano reso davvero il candidato perfetto, ora non ne abbiamo più dubbi.

Questo momento mi ha emozionato un sacco: il Dottore che si vede allo specchio e proprio come il droide, non si riconosce... AWWWWWW

E chi è questa misteriosa donna che parla del Dottore come se fosse il suo "fidanzato"? Potrebbe essere una River trasformata male? O un personaggio della serie classica?
Perchè non hanno preso la Chancellor (domanda random che mi pongo, dato che penso sarebbe stata magnifica con Peter, come lo è stata già altre volte)?
Non divaghiamo: lo scopriremo nelle prossime settimane...



Piccola curiosità adorabile: la paternoster gang è evidentemente modellata su quella di Baker Street, in Sherlock Holmes. Anche Vastra infatti ha una rete di informatori, i "Paternoster Irregulars", Vastra cita Sherlock Holmes (The Game is Afoot!) e la cosa viene nominata già prima, ma mi piace il modo in cui i riferimenti sono buttati con nonchalance.


Un bilancio di questa puntata? Perfetta introduzione del nuovo Dottore, piena di emozioni che passano dalla commozione (Matt, ci mancherai!), paura (come ogni buona puntata di Doctor Who), avventura, divertimento, risate e amicizia.
Il mio voto è: una cascata, ma che dico, una tempesta cosmica di stelline!

Tantissime stellineeeeeee
Per continuare con la cronaca della serata...

Dopo la puntata, è stato mostrato uno speciale "Doctor Who Extra" che dovrebbe essere disponibile online per ogni puntata, un po' come i vecchi Doctor Who Confidential. La cosa più bella è stata vedere le immagini del readthrough della sceneggiatura, dove Peter è decisamente pieno di umiltà e felicità (e con un adorabile morbido maglioncino stellato). Potete trovare questo speciale online :)



Il Q&A è iniziato invece con i nostri tre delle meraviglie, Peter, Jenna e Moffat, che emergevano da sotto il palco (a mio parere, tutti e tre desiderosi di andare a casa dalle proprie famiglie a riposarsi, ma costretti a vedere i fan, e perfettamente contenti di rispondere alle loro domande, evidentemente felici di condividere comunque quel momento con loro - o molto bravi a farcelo credere.
Peter come sempre è pieno di charm e delicatezza e umiltà, da il merito a tutti tranne che a se stesso, in parte a ragione, in fondo c'è stato solo per un episodio, in parte perché è fatto così, ha la testa dura. Ha i suoi momenti di altissima dolcezza quando dichiara che se potesse scegliere chiunque come companion, a parte Jenna, sceglierebbe sua moglie (loro sono la mia vera e propria One True Pairing, non c'è pezza). Jenna ovviamente è il solito batuffolo di meraviglia, vestita in modo semplice ma elegante, bella eppure semplice, gentile e disponibile. Moffat ha risposto alle sue domande con le sue solite risposte sarcastiche ma malefiche, molto fiero del nuovo Dottore scozzese, rischiando di iniziare a discutere con Peter da fanboy accanito - la presentatrice ha avuto un momento di puro terrore - e poi tutti a nanna.

E anche io, per sognare di viaggiare nel tempo e nello spazio con il nuovo Dottore.

domenica 10 agosto 2014

Lilting - recensione

Premessa

Vorrei tanto avere il pregio di conoscere Claudia di persona.
Voi Claudia forse la conoscete, perché nessuno legge il mio blog se non gente che conosco. Claudia è una donna intelligente, ma soprattutto una donna divertente, che sa farti sorridere con uno stato postato per proprio gusto o frustrazione. Ha un gatto nero meraviglioso e una famiglia affettuosa. Di più, purtroppo, non so, e per il momento sembra che non saprò altro, purtroppo. Troppe miglia e troppi impegni ci separano fisicamente, ma internet è un luogo bellissimo perché non serve nemmeno la TARDIS per potersi sentire in tempo reale.
Claudia mi ha fatto ricredere su Daniel Craig e sul suo 007. Resto una profana perché mi è piaciuto Skyfall (che pare tutti odino), e qualche giorno fa ha postato la notizia dell'uscita di un film con Ben Whishaw (da noi tutti amato in Profumo, Bright Star o The Hour, scegliete il vostro). La mia povera Claudia non ha trovato il modo di vederlo in Italia e così mi sono chiesta se qui in terra d'Irlanda ci fosse la possibilità di rimediarlo.

Claudia è una persona meravigliosa perché con le sue passioni è in grado di farti scoprire cose belle, e non si può dire cosa migliore di una persona se non questa, penso. Stefania anche è così, ve ne ho già parlato. Sono due donne che vorrei davvero conoscere e a cui vorrei ispirarmi sempre.
Ma non divaghiamo.

Ah, dimenticavo, sono in Irlanda per qualche mese, per un tirocinio finanziato dall'Unione Europea (ho vinto una borsa di studio). Le mie colleghe non sono del tutto convinte di amare questa città, ma io, decisamente, la amo già da morire, e sono qui da esattamente un mese.


Lilting




Lilting è un film diretto da Hong Khaou, e di produzione rigorosamente UK. La trama è tanto semplice quanto intensa: la morte di Kai lascia il suo timido fidanzato Richard e la sua ostinata madre cinese-cambogiana Junn devastati dal dolore. Il film tratta del percorso di avvicinamento di questi due personaggi, e di come Richard tenta di far capire a Junn che cos'era Kai per lui e come voglia ora occuparsi di lei.

Difficile dare una vera e propria analisi del film senza parlare del finale, direi, quindi ogni volta che rivelerò qualcosa sulla fine lo segnalerò un paio di righe prima. Lettore avvisato, lettore mezzo salvato.

Nonostante la trama possa sembrare a prima vista molto semplice, il film, che dura poco meno di 90 minuti, abbraccia tutto un insieme di temi universali e intimi. Il tono è delicato quanto intenso, la narrazione scorre lenta ma mai noiosa, tanto che quell'ora e mezza scarsa a me è sembrata un pomeriggio intero.

Vi descriverò ora l'inizio del film, per darvi un'idea del tema del ricordo, e lo descriverò in maniera precisa (piccolo spoiler alert).
La scena si apre su Kai che va a trovare sua madre in quella che di fatto è una casa di riposo. Il dialogo è semplice, parlano del più e del meno ma si vede benissimo che Kai ha bisogno di confessare qualcosa a sua madre ma non ce la fa. Improvvisamente, però, Kai scompare dalla scena, e capiamo che si tratta di un ricordo.

Junn così come Richard rivivono nella propria mente il ricordo di lui più di una volta. Si rifugiano in esso come se fosse la verità, il presente, e anche noi veniamo immersi in questi ricordi, più veri della narrazione stessa per noi, più veri della vita vera senza Kai per i personaggi. La perdita per entrambi è talmente pesante, talmente importante, talmente travolgente ed opprimente che è come se tornassero a respirare nell'indugiare nel ricordo stesso.

Richard cerca di approcciarsi a Junn, ma lui non parla cinese e lei non parla inglese, nonostante sia nel paese da molti decenni. Richard decide quindi di chiedere a Vann, una ragazza di origini cinesi ma non una traduttrice professionista, di aiutarlo a comunicare con lei.
Vann non è però semplicemente il mezzo tramite cui comunicano: è un personaggio che interagisce con la narrazione e finisce persino per pilotarla in qualche modo, mettendo se stessa, mettendo le proprie radici forse, o magari più la propria comprensione e umanità, prima delle parole che Richard vuole comunicare.

Lo scontro tra le due culture è un altro grande tema del film: Richard rappresenta la cultura anglosassone, la necessità di prendersi cura degli altri senza venirne troppo coinvolti, la frustrazione di non riuscire a dire ciò che si pensa e la stretta necessità di non mostrare i propri sentimenti, e di rimanere il più possibile gentili, disponibili e cortesi. Vann si è integrata ma è evidente che è in grado di capire Junn, anche se ripete spesso di non avere un buon rapporto con sua madre, che non si è mai inserita nella cultura occidentale. Junn è talmente legata invece alle sue origini da cucinare sempre cinese, dal parlare solo cinese, dal non provare neppure a parlare in inglese e rimpiangendo la sua vecchia casa. 

Emblematico, tra gli altri è il rapporto tra Junn e il suo "fidanzato" alla casa di riposo, Alan. Non parlano la stessa lingua ma lei dice che "in qualche modo, riescono a capirsi". Grazie all'aiuto di Vann, richiesto da Richard per aiutare Junn ad andare avanti e magari trovarsi un compagno inglese e integrarsi, i due però iniziano a conoscersi davvero e a capirsi. Una delle cose meravigliose di questo film è vedere in che modo questo rapporto si evolve e si completa (niente spoiler qui, ma credo che sia stupenda come evoluzione, divertente quanto emozionante e a tratti malinconica e triste). 

Il finale (spoiler alert) rivela una cosa importantissima, però, a proposito di questo scontro di culture.
Quando finalmente Richard riesce a dire finalmente a Junn che suo figlio era gay, che lui lo amava, lo fa nella maniera diretta e precisa, in una maniera affatto inglese. Junn comprende, finalmente, e lo fa con una serenità del tutto orientale, e riuscendo a spiegare che ora può andare avanti. Aveva bisogno forse di comprendere suo figlio? Il suo senso di colpa era così forte che ha rovinato la vita di tutti e tre? Forse no, ma le aveva impedito di constatare appieno la perdita, come se ci fosse stato qualcosa di non detto tra loro.

Il tema invece dell'amore è trattato in maniera intima, delicata, affettuosa ma mai morbosa. Amore tra madre e figlio, tra due amanti, tra due amici, tutto viene descritto senza forzature, senza artifici. Le immagini che ricorrono spesso sono un intimo ballo lento o un abbraccio, e soprattutto sentire il profumo dell'altra persona. Il profumo è importantissimo nella narrazione, ed è talmente potente come idea che nonostante non sia possibile effettivamente sentire i profumi, è impossibile non comprendere e non provare cosa significhi nelle varie scene.
L'intimità tra Kai e Richard non è mai volgare, trascende la fisicità e arriva all'anima, nel modo in cui Richard utilizza le bacchette (altra scena meravigliosa, verso la fine), a come la sua stanza sia ancora impregnata di Kai, a come soffra fisicamente per la sua mancanza. La sua assenza è dolore fisico per entrambi, sia per l'amante che per la madre: è la mancanza di quell'abbraccio, di quel profumo, della sensazione rassicurante di potersi accocolare tra le braccia di un altro essere umano, che amiamo e che ci ama tremendamente.

Tocco di classe spettacolare, merito di una regia superba, sono le brevi panoramiche del bosco intorno alla casa di riposo. Quelle inquadrature della brina di prima mattina, del sole appena sorto e ancora freddo, sono il vero e proprio punto d'incontro tra le due culture: sembra un paesaggio cinese, come nelle stampe che affascinavano gli occidentali nell'Ottocento, ma l'atmosfera è tipicamente dell'english cold mattutino.

Nel cercare il significato della parola Lilting, wikipedia mi dice che è una parola gaelica che rappresenta un modo di cantare tipico dei popoli appunto gaelici di "cantare con la bocca", il che spesso si accompagna con il ballare. Non so se sia effettivamente così, se sia questo il significato del titolo, o se sia solo una coincidenza, ma avendolo visto all'Irish Film Institute non potevo semplicemente ignorare questo fatto.

In conclusione, vi lascio con le due righe conclusive sul programma mensile dell'IFI, emblematiche a dir poco:
The debut film from Hong Khaou is an intimate and graceful film, a sensitive examination of two lost souls in mourning, which portrays how connections can be made across barriers of age, culture and sexuality.
(Il film di debutto di Hong Khaou è un film intimo ed elegante, una disamina delicata di due anime perdute in lutto, che mostra come si possano creare dei legami attraversando le barriere di diverse età, culture e sessualità.)

venerdì 30 maggio 2014

Solo gli amanti sopravvivono - Only Lovers Left Alive

Dovrei averlo già detto da qualche parte in questo blog, ma a costo di ripetermi, vorrei dichiararlo ancora. I miei grandi classici sono fondamentalmente tre: Il Ritratto di Dorian Gray, Dracula e Frankenstein. Questo vi dice molto su quanto mi piaccia il genere horror, ovvero mi piace il classico: niente strilli e colpi di scena fatti solo per farti prendere "un colpo", ma quel generale senso di inquietudine che ti fa riflettere sulle tue convinzioni su bene e male... la meraviglia!

Ho sempre sofferto molto la presenza del vampiro "pop" che le ragazzine amano, e che possiamo chiamare per nome e cognome: Edward Cullen. Non nego che un certo pubblico possa apprezzare i temi che la saga della Meyer espone, ma la verità è che il mito del vampiro non ha niente a che fare con l'astinenza, la castità, e soprattutto il brillio, almeno non quello che mi ha sempre affascinato.

Da questi presupposti ero partita molto positiva nell'andare a vedere Solo gli amanti sopravvivono, e non sono rimasta affatto delusa.
Ammetto che la presenza di Tom Hiddleston è stata un "accelerante", o meglio è stato ciò che mi ha fatto conoscere il film e, insieme a Tilda Swinton, forse l'ha reso interessante per tutta una quantità di spettatori, ma non cambia la sostanza: il film è un piccolo capolavoro, e ora vi spiegherò perché lo penso.





Il film non ha una vera e propria trama, ma segue uno spaccato della vita di due vampiri, Adam ed Eve. Pur vivendo lui a Detroit e lei a Tangeri, sono insieme, sposati almeno tre volte nel corso dei secoli. Adam fa il musicista, e attraverso l'aiuto del suo agente/produttore fa conoscere la sua opera al mondo in maniera anonima, e di quando in quando si rifornisce di sangue all'ospedale locale. Eve passa il suo tempo a leggere e annegare nella bellezza, di quando in quanto facendo visita ad un vecchio amico, un vampiro molto molto anziano, che la aiuta ad avere scorte fresche e buone dal "dottore francese" in Algeria. È quando Eve sogna sua sorella Ava che inizia ad impensierirsi, e sentito Adam, va da lui a Detroit, dove appunto Ava è diretta. Il suo arrivo scatena una piccola serie di eventi che ci accompagna nella narrazione, e infine di nuovo a Tangeri, dove veniamo accompagnati al finale che arriva in maniera a mio parere perfetta.




La contrapposizione tra Adam ed Eve è una delle tante cose bellissime di questa pellicola. Adam è sempre vestito di nero, e vive in un appartamento buio, di colori scuri e pesanti. Porta un piccolo teschio bianco al collo, unica nota di quel colore, così come l'unica nota nera di Eve è un piccolo teschio nero ad un braccialetto. Adam vive della sua musica, circondato da tecnologia vecchia ma sempre in evoluzione dato che ci lavora costantemente per poterla mantenere in funzione nonostante l'obsolescenza. È malinconico e meditativo, silenzioso ma profondissimo, pieno di ricordi spesso dolorosi e con il costante pensiero della morte, della fine, che lui non può avere se non auto-inflitta. Eve, al contrario, vive in un appartamento illuminato, pieno di libri e ha un cellulare all'ultimo grido. Vive della bellezza della città in cui vive e della bellezza della letteratura, è felice e ama la vita, non vede la sua eternità come una maledizione ma come la possibilità di vivere più tempo e forse più intensamente.
I due amanti o meglio i due sposi vivono separati ma sono sempre veramente uniti. Lei sa benissimo quanto potrebbe costare a lui spostarsi, perciò lo fa per lui, è il motore della coppia così come è colei che è veramente legata alla vita, dei due. È affascinata e innamorata di lui tanto da cercare di fargli capire il suo punto di vista non per cambiare il suo ma per permettergli di essere felice. 




Ciò che profondamente li accomuna è ciò che probabilmente attira un certo tipo di pubblico, tra cui mi ci metto anche io, e anche una delle grandi forze di questo film: la malinconia per un passato rovinato dalla modernità, un passato ritenuto inutile o non importante. Adam è lo scienziato, dei due, ma ha una fortissima nostalgia. Ammira i grandi che sono stati rigettati dalla società perché erano innovatori, piange la trasformazione di teatri e luoghi di cultura in parcheggi ed è triste per le fabbriche vuote e la mancanza di vita nell'economia di Detroit. Eve ha scelto di vivere in una città piena di colori e profumi, di musica intossicante e di bellezza, e anche se per lei l'immortalità è continuare a vivere piuttosto che essere costretti a vivere, e nonostante sia l'ottimista e dica più volte che a suo parere tutto rinascerà, vive comunque in libri antichi, in musica che richiama antiche civiltà. Una scena bellissima è quella in cui impacchetta i suoi libri preferiti come bagagli per raggiungere Adam.





Vere chicche di questo film sono le due guest star principali, John Hurt e Mia Wasikowska, e i loro personaggi. John Hurt interpreta un vecchio vampiro, un vampiro veramente vecchio e invecchiato, pieno di ironia e di talenti (scopriremo che si tratta di un personaggio famoso... ma non vi anticipo chi), mentre Mia è Ava, la sorella di Eve. Ava è un simbolo di ciò che potrebbe andare storto, per un vampiro. È colei che se ne frega del passato così come del futuro, che vuole soltanto stare bene e fare quello che le piace, senza tenere conto delle conseguenze. È l'edonista, l'egoista, la distruttrice, ciò che Adam detesta e Eve teme. 




Tutto questo però non significa che il film sia triste o noioso. La narrazione scorre lenta ma mai monotona, Tom Hiddleston mantiene un contegno e un'espressione ombrosa che in alcuni casi è così ironica e divertente che più di una volta strappa un sorriso o una risata. Adam ed Eve usano pseudonimi letterari che per gli amanti dei classici sono dei veri e propri omaggi. Ava è una causa talmente persa che a tratti fa persino pena, e il giovane produttore e agente di Adam è molto dolce e divertente. John Hurt è forse il più ironico e con le battute più pungenti di tutti quanti, ed è un peccato vederlo così poco in scena.
Altre scene divertentissime sono quelle di Adam e del suo travestimento da Dottore alla ricerca di sangue. Ho trovato spassosissimi gli pseudonimi che usa, ma probabilmente il mio senso delle humour è un po' troppo british.



Le ambientazioni, dall'appartamento di Adam alle strade notturne di Tangeri, sono di una bellezza sconfinata, creando quella sorta di fascinazione che ogni buona storia di vampiri dovrebbe creare. La musica, soprattutto l'ultima canzone che si sente nel film, rendono il tutto misterioso, magico, malinconico e un po' malaticcio. 
Altra cosa che ho molto apprezzato è stato mantenere alcuni degli "stereotipi" del vampiro in maniera intelligente, come chiedere di essere invitati in casa.

Concludo con il mio apprezzamento per la scena finale o meglio proprio per l'ultimo fotogramma, l'idea che il film si concluda in quel modo ci da l'idea della continuazione della vita di questi due personaggi e di quanto ciò che abbiamo visto sia stato fondamentale eppure quasi niente di fronte all'eternità e al bisogno di sopravvivere, e di vivere.

Quante stelline gli diamo? Beh, una valanga! Consigliatissimo è dir poco.

Tutte le stelline che si merita un bel film.



martedì 14 gennaio 2014

Sherlock, serie 3 - pensieri e riflessioni! parte 2 - The Empty Hearse

Episodio 1 - The Empty Hearse

Il primo episodio è andato in onda il primo giorno dell'anno 2014. Invece di vederlo sola soletta, ho seguito la diretta con un giusto gruppetto di amiche, e devo dire che è stato ancora più emozionante. La BBC, da buon canale pubblico quale è, non prevede pubblicità (i suoi introiti primari non derivano da quella, come nelle tv private, ma dal canone), quindi dopo la voce suadente dell'annunciatore, la scena si apre direttamente sullo stesso momento della caduta dal tetto dell'ospedale St. Bart's della fine di The Reichenbach Falls. 

Geniale, a mio parere, partire dalla spiegazione o meglio farci credere di aver iniziato con quella: sono passati due anni, non frapponiamo indugi! Devo confessare che al Bacio tra Sherlock e Molly (sì con la B maiuscola, come altro definirlo?) ho subito sentito puzza di imbroglio: questo Sherlock non avrebbe mai e poi mai fatto una cosa del genere, anche se sulla scena è una cosa veramente stupenda.


"AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH" fu il grido che si sentì fino a casa dei vicini.

Ed eccoci però ripiombare nello sconforto: non era vero, era solo una possibile spiegazione del nostro Anderson. Sherlock è ancora ufficialmente morto, nessuno è convinto pienamente che tornerà mai, solo un piccolo gruppetto di ammiratori scalcagnato chiamato The Empty Hearse - non un omaggio quindi alla Casa Vuota, che però sarà più avanti (lo leggerete nella quarta e ultima parte). Non solo: Anderson è frustrato e triste, Lestrade ha la tipica espressione di chi non vuole illudersi, ma allo stesso tempo ne avrebbe bisogno, e Mrs Hudson è rimasta l'unica inquilina di Baker Street, che nessuno va mai a trovare. Stanno tutti tentando di convivere con il dolore, la perdita, il rimorso. E John?
John Watson è andato avanti. Ha trovato una compagna, si è ripreso un lavoro, si è persino fatto crescere i baffi: grande, grandissimo omaggio a tutti i Watson degli ultimi cent'anni, si è purtroppo talmente ingigantito da non essere più controllabile. Ho capito, è divertente, ma internet placati, sei ridicolo. Alla quarta volta che rivedo una battutaccia, ho smesso di ridere. 


Più Watson di così, c'è solo David Burke (che io adoravo, perché se ne andò! Era così dashing!)
Ma c'è un gruppetto di eletti che sa che Sherlock Holmes è vivo: in primis, suo fratello Mycroft. Ho adorato la scena di lui, infiltrato, che va a recuperare Sherlock, ma solo dopo averlo fatto malmenare un po': fa molto film di spionaggio o di James Bond, cose che piacciono molto a Mark Gatiss, e non gli do affatto torto. In più, i loro battibecchi al Diogene's Club! Li adoro! 
Altra chicca difficilmente superabile i genitori di Sherlock: i veri genitori di Cumberbatch li interpretano, da bravi attori quali sono, ed è innegabile la somiglianza, così come è evidente che sullo schermo Benedict e Timothy hanno una chimica innegabile, e sua madre sembra davvero la donna più amorevole ma decisa del mondo. Con riscontro poi di ciò che si vede nell'ultima puntata, il gene dell'intelligenza viene sicuramente dalla madre, anche se la dolcezza e l'amore del padre in qualche modo è stato trasmesso a entrambi i piccoli figli inquietanti che hanno generato.


Amateli, perché sono bellissimi. E perché a quanto pare Benedict era una piccola scimmia.
E ora, parliamo dell'elemento ostico per i più: Mary Morstan.
È interpretata da Amanda Abbington, nella vita la vera compagna e madre dei figli di Martin Freeman, e a me piace tanto. Non lo dico per questo fatto, ma perché l'ho vista recitare in Case Histories prima e mi rendo conto che è una brava attrice. 
Detto questo, sono convinta che dare in mano a Mark Gatiss questo episodio sia stata una mossa vincente: Mark è lo scrittore dei rapporti più semplici quanto dolci, dove l'ordinarietà di una famiglia normale diventa bellissima e delicata. Gliel'ho visto fare anche in Night Terrors, episodio di Doctor Who, e non glielo si può contestare. 
Mary Morstan insomma è la vera compagna di John Watson: è capace di rispondergli a tono, anche scherzando, durante la sua proposta e gli sta davvero accanto quando riceve la rivelazione di Sherlock. Non si mette in mezzo urlando contro Sherlock, sa che devono parlarsi tra loro. Non si mette a fare scenate di gelosia, anzi, capisce che Sherlock è importante per John e quindi entrambi ora lo sono. Anche Sherlock capisce questo, e non si metterà mai contro di lei o non la ignorerà come ha fatto con tutte le altre. In questo senso trovo che il rapporto di reciproca simpatia tra Sherlock e Mary sia azzeccato, perché hanno entrambi a cuore, molto a cuore, la stessa bella persona, e non poteva essere altrimenti. 


Con i Pink Martini non si sbaglia mai: ho ballato e cantato questa canzone per giorni, e continuerò!

Mi piace molto anche il fatto che Mary non si metta in mezzo, che non sia particolarmente presente in questo episodio che è principalmente di Sherlock e John, ma che sia lì quando ce n'è bisogno.
Sì, lo so. Ora che abbiamo anche His Last Bow ci possiamo porre delle domande, e io vi do le mie risposte. Abbiamo visto tutti che Sherlock deduce "Liar" (bugiarda) su Mary. E ha sentito "puzza di bruciato" (e non cercavo di fare un gioco di parole, cioè "no pun intended") quando ha riconosciuto lo skip code. Come allora spiegarsi questo suo rapporto così stretto? Ne riparlerò nell'ultima parte, ma sono convinta che la chiave sia proprio nel fatto che Mary ama davvero John, e questo è ciò che Sherlock ha dedotto. 


Mary, che decisamente invidio per la bellezza anni 20... anche se il biondo non è il massimo
Questo episodio si contraddistingue soprattutto per la dinamica di riavvicinamento di John e Sherlock: ho sentito molti lamentarsi sulla banalità o inesistenza di un vero e proprio caso, e che la minaccia terroristica e l'attentato a John sembrano buttati lì per caso. La Casa Vuota, a suo modo, non brilla per originalità o suspance, e non è stata comunque omaggiata qui, ma nell'ultimo episodio. Ho notato che questa stagione si è concentrata sull'aspetto umano e sui sentimenti dei personaggi, e con una profondità del genere era impossibile non sacrificare almeno la parte prettamente "crime"; da fan accanita del giallo all'inglese non sento la necessità di lamentarmene, non stavolta. 


Come in ogni rapporto spezzato o incrinato, la riappacificazione avviene in fasi, e ancora una volta mi sento di dire che la scelta di lasciarla a Gatiss, almeno per lo script, è stata azzeccatissima, dato che lui ha un modo particolare per calibrare le emozioni (aiutato, immagino, dalla sua esperienza da attore); Moffat è l'uomo dei sentimenti struggenti e della stretta al cuore, Gatiss è quello della bellezza della semplicità e dell'ondata di calore nel petto.
Primo approccio, disastroso: Sherlock pensava sicuramente di fare una grande entrata, di ricominciare le loro avventure come nulla fosse, ma John è decisamente ferito dal suo comportamento (ed è deciso a ferire Sherlock almeno fisicamente). La differenza si nota soprattutto quando Sherlock tenta subito di spiegargli tutti gli scenari, ma a John, per il momento almeno, interessa soltanto il perché e soprattutto chi altro sapeva, non il come. John è evidentemente infuriato e frustrato, mentre Sherlock vorrebbe riprendere subito a lavorare: ho trovato interessante che Moffat e Gatiss abbiano deciso di non perdonarlo subito, come invece avviene nel canone.



Solo una riga sulla rivelazione di Sherlock a Lestrade e Mrs Hudson: perfette, e fantastiche.

Tra questo e il successivo incontro/scontro, la scena in cui Sherlock parla con Mycroft è emblematica e mi è piaciuta particolarmente. Al di là della divertente gag dei due fratelli che, invece di giocare a scacchi, giocano all'Allegro Chirurgo, proprio questo escamotage da modo di creare uno scambio interessantissimo: Sherlock riesce a mostrare a Mycroft che l'amicizia di John l'ha reso più umano e l'ha reso molto meno solo. In qualche modo, vorrebbe che anche il fratello maggiore sperimentasse questa gioia, anche se Mycroft è naturalmente scettico e non ha intenzione di dimostrarsi debole con il suo fratellino minore, che considera ancora troppo vulnerabile e bisognoso di attenzione (tema che si ricollega ancora una volta a His Last Vow).
I due riferimenti al canone che ho individuato, ovvero le deduzioni sul cappello - simili all'inizio de L'Avventura del Carbonchio Azzurro - e il caso sviscerato con Molly - evidentemente, Un caso di identità - nonché il tentativo di John di smascherare Sherlock - Holmes è spesso e volentieri in incognito in molti suoi casi, e Watson non lo riconosce mai - mi hanno ricordato e dimostrato per l'ennesima volta l'omaggio e l'amore degli autori per le avventure originali.


Adoro Un caso di Identità!!!
La dinamica tra Sherlock e Molly è di nuovo affrontata in maniera molto dolce e tenera: lei è sicuramente ancora affascinata da lui, probabilmente innamorata di lui, decisa a non volerlo cambiare, e per questo ha ormai gettato la spugna, trovandosi un fidanzato (fotocopia). Sherlock è riuscito a dirle quanto è importante per lui, anche se forse lei non ci crede, ma apprezza il gesto.

È evidente che fino ad adesso, i due si sono mancati, perchè nonostante conducano vite separate, il ricordo dell'atteggiamento dell'uno verso l'altro influenza ciò che fanno separatamente. Il secondo tentativo di riappacificamento tra John e Sherlock riesce ad esserci grazie al salvataggio in extremis dall'essere bruciacchiato con Guy Fawkes. È John a fare il primo passo, tornare a Baker Street, ma ancora non è sereno: solo constatare che anche i suoi genitori erano a conoscenza del segreto lo agita. Sherlock tenta davvero di scusarsi di nuovo, ma è l'avventura che di nuovo si impossessa di lui, e cerca di coinvolgerlo: questa volta ci riesce, e la loro riappacificazione deve attendere: Londra va salvata.

Il terzo tentativo può sembrare quello definitivo, ma non è così, non lo penso: Sherlock sta di nuovo tentando di ingannare John, di farsi perdonare in fretta e con un colpo di scena, sul filo del rasoio. Sherlock sta recitando una parte, sta fingendo un rimorso che non prova, sta punzecchiando il suo amico, come un gatto fa con il topo. Il suo pentimento non è autentico, mentre John è terrorizzato e sicuro di perderlo e nonostante la rabbia, gli dice ciò che pensa di lui, lo chiama il più grande e il più saggio degli uomini che ha mai conosciuto... lo perdona, seppur arrabbiato e...

Un po' di sana suspance, naturalmente, e finalmente la spiegazione più plausibile. È quella vera? Forse, io penso di sì: non potendo prevedere le mosse precise di Moriarty, Sherlock e Mycroft ne hanno ipotizzati un certo numero e creato "trucchi" per salvare Sherlock in tutti questi, e "Lazzaro" è quello che hanno dovuto mettere in atto. Anderson in questo caso è stato usato come tramite o come personificazione dei fans, o di un certo tipo di fan: la scrittura di Gatiss è, ancora una volta, magistrale. Anderson infatti dice che "non l'avrebbe fatto in quel modo", che è "deludente". Gatiss e ovviamente Moffat stanno tentando di creare una specie di collegamento tra sé e lo spettatore, stanno mostrando come loro pensano che lo spettatore potrebbe reagire e interagire, pur con un pizzico di autoironia: Sherlock infatti risponde "Oh, sono tutti critici ora".
Anderson, in ogni caso, continua a incaponirsi: gli autori sanno che certi fan non apprezzeranno i loro sforzi, e ne prendono atto, come ogni buon comandante sconfitto.
Lo trovo assolutamente geniale!

... e poi la bomba non esplode. Qui crolla la maschera di Sherlock e il perdono non viene cancellato solo è ancora "adombrato" di una patina di imbarazzo e di falsità: Sherlock non si è davvero ancora scusato, non veramente, e anche John come lui è incapace di esprimere ciò che provano l'uno per l'altro, l'affetto, l'amicizia, la lealtà... Io non sono di quelli che li vede come coppia omosessuale, fatevene una ragione: ma sono più che convinta che si vogliano davvero un bene dell'anima. 

Ed è il quarto e ultimo momento di Sherlock e John insieme che li riappacifica del tutto. Dopo aver salutato e parlato con gli amici più stretti, sono soli: John ribadisce quanto conosca Sherlock, Sherlock resta impettito, ma ascolta, ascolta eccome.
In due righe, il perdono è totale: sì, Sherlock ha sentito la richiesta di John.

Un veloce assaggino della presenza del cattivo, di questo Lars Mikkelsen splendido e magnifico... e la puntata è finita.

Cosa posso aggiungere a questo post infinito e lunghissimo? Gli attori sono stati sublimi, ma cosa ve lo dico a fare?
Non sapendo davvero più cosa aggiungere, concludo qui per questo episodio, e vi aspetto per il prossimo!


TU... NON PUOI.. PASSAREEEEE!!!
Ma puoi passare al prossimo post ;) quando sarà pubblicato

Sherlock, serie 3 - pensieri e riflessioni! parte 1 - Premessa e Many Happy Returns.

Non poteva mancare un blogghino su Sherlock, naturalmente! Cercherò di mantenere una sorta di ordine in questa mia elucubrazione, ma come sempre non posso promettere niente. Proverò a parlare di ogni cosa episodio per episodio, ma ora che ho una visione completa avrò anche qualche spunto in più (per questo ho atteso, sono furba eh?).
Il materiale è tantissimo, perciò diluirò il tutto pezzo per pezzo.

Ricci, cappotto, pioggia: ciao Sherl <3
Premessa che mi pare doverosa: molti hanno atteso questa serie, e per tanto tempo. Due anni sono lunghi in un palinsesto in cui siamo abituati ad avere una serie dietro l'altra, a volte con pause di pochi mesi. Gli americani sono bravi in questo, e se lo possono permettere: molti soldi, molti attori pronti a scavalcarsi per una parte che li lanci finalmente, molte location, molti network, molti produttori.
Il Regno Unito è un paese piccolo. Spesso si ironizza (grazie a Tumblr principalmente) che abbiano solo 12 attori, 4 location e... un solo ombrello (quello di Mycroft). Finanziare una serie di tre film da 90 minuti non è una sciocchezza, pagare due attori protagonisti ora molto famosi, trovare un cast di contorno, ripristinare i set a Cardiff, ritrovare le location a Londra, finanziare una post produzione digitale e di effetti speciali non complessi ma presenti, ecc... non è uno scherzo. 
Mi rendo conto che appunto due anni sono un'attesa lunga, ma per lo sforzo da fare, la pianificazione, gli impegni di tutti, è un miracolo che ci abbiano messo "così poco". Attendere tanto, o almeno tanto per gli standard dei più, crea particolari aspettative, ancora più forti di quelle che si erano create a suo tempo sul cliffhanger della prima stagione. Personalmente, sono una che tenta di non aspettarsi nulla in particolare, perché mi piace farmi sorprendere e non mi piace farmi deludere da me stessa. Tengo la mente sgombra più che posso.
Ho letto però molta delusione intorno a questa terza serie, e l'unica ragione per cui mi possa spiegare questa reazione è appunto l'aspettativa: tutti vorremmo che il nostro telefilm preferito abbia determinate situazioni, mostri determinate scene, ma non siamo noi a farlo, e a volte quello che vogliamo non è quello che potrebbe funzionare meglio. Lungi da me cercare di convincere persone a pensarla come me, ma mi piacerebbe che riflettessero un po' su questo, e su quello che sto per raccontarvi. 

Professori di Marketing Virale molto fieri dei loro allievi, che ora lavorano per la BBC
Ho divagato? Oh, sì. Scusate... Cominciamo!

Mini-episodio: Many Happy Returns

Steven Moffat e Mark Gatiss sono due fanboy: in italiano possiamo dire degli appassionati particolarmente entusiasti, anche se la traduzione non terrebbe mai il giusto livello di follia. Come meglio introdurre la nuova stagione se non con questo? Ma soprattutto se non usando una loro pseudo-proiezione nella storia, e cioè Anderson?
Anderson è passato da colui che è molto infastidito dalla presenza di Sherlock a suo grande fanboy: scontato? Forse, ma ci voleva, ci piace, lo adoriamo! Qualcuno che, dopo aver dubitato di una persona per tanto tempo, si accorge troppo tardi del suo errore... ma è davvero troppo tardi?
Adorabile, quando rintraccia i vari casi di Sherlock, facendo notare che non è veramente idiota come è sempre stato dipinto nel primo episodio. Adorabile soprattutto Lestrade, convinto da se stesso o meglio dal proprio dolore a non credere a tutte quelle storie. John, a sua volta, ci spezza un po' il cuore: è serio, è ferito, è triste. Rivedere il suo amico Sherlock, ancora poco avvezzo all'umanità, gli strappa un sorriso quando si rende conto e ammette di aver fatto qualcosa di indelicato. Quel sorrisetto sul volto del suo migliore amico ci ha fatto del male e del bene insieme. Molto bello anche il graduale "scoprirsi" di Sherlock: dal monaco con il cappuccio alla sagoma, alle mani, per poi finire solo nel video a vederlo a figura intera.
Citazione preferita: "Only lies have details" (tema che mi ricorda una battuta molto simile se non uguale, in un suo stesso episodio di Doctor Who scritto da Moffat. Parlerò di questa ripetitività Moffattiana nella parte su His Last Bow - e non la considero un difetto, ve lo dico subito).
Sherlock sorride e fa l'occhiolino ("sembra piacere alla gente, mi rende umano") e noi stiamo già esultando. Deduzione corretta, Sherlock: alla gente piace.

Non fare così, Greg. Te la prendiamo un'altra birra, tranquillo.